È stato, non v’è dubbio, il miglior discorso dei suoi due anni e passa di presidenza. E, per una volta, anche i grandi media – quelli che lui, con tipica sottigliezza, definisce “i nemici del popolo” – hanno, a denti stretti, dovuto ammetterlo. Da lui stesso battezzata “A Salute to America”, un saluto (nel più militare senso del termine) all’America – ed enfaticamente annunciata, via Twitter, come “una delle più grandi manifestazioni della storia di Washington D.C.” – la celebrazione del 4 di luglio s’è quest’anno dipanata, grazie a Donald Trump, in un’inedita (e molto trumpianamente faraonica) cornice marziale. “Hold the date”, aveva scritto il presidente in uno dei suoi cinguettii, per l’occasione usando un’espressione che l’Urban dictionary così definisce: “Hold the date: Frase usata da persone di basso intelletto al posto di save the date (prendete nota di questa data, ndr)”.
E, con toni da imbonitore da circo, aveva quindi immediatamente aggiunto: “…ci saranno fuochi articiali, divertimenti ed un discorso del vostro presidente preferito, io!”. Il tutto, per mostrare alle folle “le forze armate più forti ed avanzate del mondo” sullo spettacolare sfondo di un Lincoln Memorial illuminato da pirotecniche prodezze mai viste prima. Venghino signori, venghino…
Era da tempo – da quando, nel luglio di due anni fa, fresco di presidenza, aveva assistito con Emmanuel Macron alla tradizionale celebrazione della presa della Bastiglia – che Donald Trump desiderava una parata militare tutta sua. Una parata vera, con tanto di carri armati (Trump ha un debole per i carri armati) e di aerei che solcano il cielo rombando, lasciandosi alle spalle scie colorate. Per almeno due volte, nel giorno della sua inaugurazione, prima, e, poi, in occasione del Veteran Day, lo scorso anno – Trump già aveva tentato di regalare al paese, e soprattutto a se stesso, un siffatto spettacolo, per due volte frustrato, tuttavia, oltre che dalla perfida propaganda dei “nemici del popolo”, dalla reticenza del Pentagono e dagli iperbolici costi della rappresentazione.
Stavolta, complice la Festa dell’Indipendenza, le cose sono però, finalmente, andate in modo diverso. O quasi. Perché la parata – quella che Trump aveva annunciato come una spettacolare mostra, in stile Piazza Rossa, della potenza militare Usa e della sua personale gloria di grande condottiero – non è stata, in realtà, una vera e propria parata. Gli aerei sono, come da copione, ripetutamente sfrecciati, in una sorta d’assordante controcanto al discorso presidenziale, nel cielo di Washington D.C.. Ma di carri armati non se ne sono visti che due, pateticamente immobili ai due lati del monumentale palco dal quale Donald Trump rivolgeva il suo “Saluto all’America”. Perché? Perché pare che una sfilata di mezzi cingolati – cosa che, evidentemente, Trump non aveva considerato – avrebbe avuto effetti devastanti per le sovrastrutture viarie della capitale.
Ed anche il tempo, marcato da una pioggia battente, ha da par suo provveduto a malignamente cospirare contro la militaresca imponenza dello storico evento. Visto dai grandi schermi allestiti lungo il Mall, il Trump che rivolgeva al paese il suo epocale discorso non era, in realtà, che un’ombra triste, un’opaca figura seminascosta dai rivoli d’acqua che, come una sorta di misericordioso velo di pianto, scendevano lungo la vitrea barriera antiproiettile che circondava il palco, proteggendo il presidente da possibili attentati e la di lui superba chioma dalle ingiurie del diluvio. Sempre che, naturalmente, lecito sia definire “epocale discorso” – o anche soltanto discorso – il compitino da scuola media che Trump ha letto (e letto “alla Trump”, ovvero, come un tronfio ma improvvido scolaretto che nulla capisce di quel che legge) da un paio di teleprompter.
Quello che Trump ha mal recitato dalle alture impregnate di Storia Patria del Lincoln Memorial, non è stato – da qualunque angolatura lo si analizzi – che un mediocre e tedioso riassunto, una sorta di “bigino”, della storia militare degli Usa, dalla Rivoluzione del 1776 ad oggi. E il suo unico acuto – un vero e proprio, comicissimo, do di petto – è stato uno strafalcione (questo sì davvero storico) destinato ad entrare da trionfatore nel guinness delle castronerie presidenziali. È accaduto quando Trump ha raccontato (cosa per la quale ha il giorno dopo goffamente incolpato il teleprompter) come l’esercito comandato da George Washington – ben più d’un secolo prima dell’invenzione dell’aereo – avesse, dopo aver “manned the air”, dominato gli spazi aerei (presumibilmente grazie alla sua aviazione) eroicamente conquistato “gli aeroporti” che erano sotto il controllo delle truppe di sua maestà britannica.
La prima celebrazione compiutamente “trumpiana” del 4 luglio è stata dunque, a tutti gli effetti, un autentico fiasco. E proprio per questo è stata giustamente celebrata – perché “inoffensiva” e tutto sommato alquanto “impersonale” – come la rappresentazione del miglior Trump. Molti – con i sunnominati “nemici del popolo” ovviamente in prima fila – avevano, alla vigilia, con ostentato sdegno ricordato come, da che l’America è l’America, la festa del 4 di luglio sempre fosse stata una celebrazione, non della forza militare (e tanto meno del loro “commander in chief”), ma dell’idea che dell’America è la vera ragion d’essere. Quella secondo la quale – come recita la dichiarazione di indipendenza – “tutti gli uomini sono stati creati uguali” ed hanno un inalienabile diritto alla vita, alla libertà ed alla ricerca della felicità. Un’idea universale che è, in quanto tale, aperta al mondo, a tutti coloro che, da migranti, di quella vita, di quella libertà e di quella felicità sentono il bisogno. Un’idea che è agli antipodi d’ogni militaresca ostentazione e, ancor più, della filosofia d’un presidente che nell’odio al migrante ha trovato il suo marchio di fabbrica. Con ben più d’una buona ragione temevano, quei “nemici del popolo”, che Donald Trump, seguendo i suoi istinti da “tin-pot dictator”, il dittatore di latta di cui da sempre ostenta atteggiamenti e cultura, sequestrasse il 4 di luglio trasformandolo in una celebrazione di se stesso, a preludio d’una svolta autoritaria.
Ma si sbagliavano. Il “militaresco” Giorno dell’Indipendenza di quest’anno non è stato, a conti fatti, che la brutta figura d’un tenore sfiatato. Ancora una volta l’incompetenza e l’ignoranza di Donald Trump hanno salvato l’America da Donald Trump. Ma per quante volte ancora?