Hugo Chávez è tornato in Venezuela. Lo ha fatto a sorpresa – così come a sorpresa s’era, a causa dell’ormai famosissimo ascesso pelvico, fermato tre settimane or sono in quel di Cuba – mentre nel suo stesso circolo di potere andavano montando le voci sulla lunghezza (sei mesi era l’ultima ipotesi avanzata dal vicepresidente Elías Jaua) della sua convalescenza all’Avana. Nel toccare il suolo patrio, il presidente bolivariano, non ha prevedibilmente mancato di testimoniare, con la consueta e molto teatrale retorica, la sua allegria per quest’inatteso ritorno a casa. “¡Aquí estoy pues, en casa y muy feliz! ¡Buenos días mi Venezuela Amada! ¡Buenos días pueblo amado! ¡Gracias Dios mío! ¡Es el inicio del Retorno!”…
Che cosa significhi questo “inizio del ritorno”, non è chiaro. Ma, presumibilmente si tratta – anche se, altrettanto presumibilmente, il gesto verra’ rivestito da un mistico alone di personale eroismo – d’un ritorno alla normalità. O di quella che, nel chavismo, è – come dimostrato dagli ultimi eventi – l’unica normalità possibile. Vale a dire: ala realta’ un paese con Hugo Chávez unico possibile timoniere d’una nave – quella del governo bolivariano – la cui ciurma abbonda di cortigiani, ma è palesemente priva di possibili sostituti, foss’anche per un breve periodo di convalescenza del gran capo.
In effetti la situazione – marcata della pretesa che Chávez potesse tranquillamente governare il paese da un imprecisato centro di cura in un altro pese (amico fin che si vuole, ma pur sempre altro) – s’era fatta nelle ultime ore insostenibile, da un punto di vista logico, ancor prima che costituzionale. Ed ha evidentemente spinto Chávez a privilegiare la ragion politica rispetto a quella d’una più tranquilla convalescenza. In virtù della quale, in ogni caso, già lo ha annunciato, domani non parteciperà al “desfile militar” in occasione del secondo centenario della Indipendenza.