Fidel, la clemenza che uccide

0
1172

Secondo CubaNet, tutti i guai di Cuba sono cominciati il 15 maggio del 1955, quado Fulgencio Batista ha liberato con un’amnistia Fidel Castro, condannato a 15 anni per l’assalto al cuartel Moncada. Nel suo blog “A Cuba, nel frattempo…”, affiliato a 2Americhe ed attualmente in ristrutturazione, Ubre Blanca, la vacca eroica, risponde a questa palese idiozia storica.


Non è la prima volta che la amnistia da Fulgencio Batista concessa, nel maggio del 1955, a Fidel Castro ed agli altri ribelli sopravvissuti all’assalto del Cuartel Moncada viene usata in termini comparativi. Ovvero: per dimostrare come la dittatura castrista si sia dimostrata, in materia di repressione del dissenso, ancor più drastica, meno generosa e, certo, molto più longeva e totalitaria di quella che Fidel aveva a suo tempo combattuto nel nome della libertà e della democrazia.

L’articolo pubblicato da CubaNet, una delle più antiche pubblicazioni dell’esilio, va però molto oltre questo già in sé piuttosto controverso – anche se indiscutibilmente tutt’altro che privo di fattuale supporto – uso di quella storica evenienza. In questo caso, infatti, l’amnistia diventa, non più un termine comparativo atto a svergognare l’attuale regime, ma l’elemento centrale della storia cubana degli ultimi 70 anni, il “fatale errore” che, di fatto, è alla base – per metterla nei termini cari a gran parte dell’esilio -della miseria alla quale Cuba è stata condannata a partire dal primo di gennaio del 1959. In sostanza: non avesse Batista ceduto alle pressioni degli allora difensori dei diritti umani e dei professionisti della clemenza, ed avesse tenuto Fidel in carcere, oggi Cuba sarebbe un paese più prospero, libero e felice della decrepita prigione in cui s’è trasformata.

Tutti i “se” e tutti i “ma” d’un ragionamento zoppo

In termini, chiamiamoli così, molto grossolanamente logici (ammesso e non concesso che logica e grossolanità possano andare a braccetto) il ragionamento fila. Non fosse stato liberato da un’amnistía, Fidel Castro non sarebbe andato in esilio in Messico e non avrebbe quivi organizzato la spedizione del Granma. Non avesse organizzato la spedizione del Granma (che, peraltro, fu inizialmente un altro fallimento) non ci sarebbe stata la guerriglia della Sierra e Fidel non si sarebbe, fuggito Batista, progressivamente impossessato del potere. Non si fosse Fidel impossessato del potere, non vi sarebbe stato socialismo e via ricostruendo…

Fin troppo facile usando la “logica-logica” – quella di cartesiana memoria – è tuttavia cogliere l’assoluta inconsistenza di questa lunga catena di condizionali storici. Intanto per una ragione: se proprio si vuole individuare nell’esistenza di Fidel Castro – e solo nell’esistenza di Fidel Castro – l’origine di tutto, perché non collocare il “fatale errore” più a monte? Perché non nel momento in cui il tenente Pedro Sarría, braccato e sorpreso il Fidel fuggitivo mentre dormiva in una “choza”, decise – contro l’ordine di “non fare prigionieri” – non di ucciderlo, ma di arrestarlo salvandogli la vita? Perché non assegnare colpe previe al cardinale Manuel Arteaga, vescovo dell’Avana, o a monsignor Enrique Pérez Serrante, di Santiago, che dopo l’assalto al Moncada, usarono il prestigio ed il potere della Chiesa per reclamare “clemenza” (laddove “clemenza” stava per un “no” alle fucilazioni senza processo). O, ancora, ai giudici che più tardi, anziché condannare Fidel e gli altri congiurati a morte, o all’ergastolo, dettero loro pene carcerarie dai 15 anni in giù? E perché, proseguendo fino al paradosso in questa marcia del gambero, non collocare sul banco degli imputati il rude gallego Ángel Castro e la di lui consorte Lina Ruz, che Fidel Castro concepirono in quel di Birán, nell’estremo oriente di Cuba, sul finire dell’Anno del Signore 1925 (Fidel nacque il 13 agosto del 1926)?

…ed in questo consiste la vera “vaccata”

Responsabilità personali a parte, il vero limite, la vera “vaccata” dell’articolo di CubaNet, sta tuttavia – al di là d’ogni “se” e d’ogni “ma” – nel capovolgimento di un’ovvia, concretissima e verificabile verità storica. Alle origini della rivoluzione cubana non vi è alcuna “clemenza”, bensì il suo contrario. Alle sue radici c’è la ferocia d’una dittatura (l’ultima d’una serie) che altro non era che il punto d’arrivo d’una storia d’oppressione semi-coloniale (Cuba era, di fatto, un “protettorato” degli Usa), di sfruttamento economico e di un umiliante “dimezzamento” della sovranità nazionale che, vecchio di più di mezzo secolo, portò ad una rivoluzione che fu “di popolo”. E che di certo fu, nei suoi primi anni, un indiscutibile fattore di democrazia e di liberazione. Il socialismo cubano è nato e cresciuto perché di questa democrazia e di questa liberazione è stato il portatore. E perché ancor oggi – nonostante la sua rapida degenerazione, in linea con tutta la storia del cosiddetto “socialismo reale“, in un regime totalitario, oppressivo ed economicamente inefficiente – di quella liberazione e di quella democrazia ancor oggi regge la bandiera. Con grande ipocrisia, tra mille ingiustizie, miserie e, se vogliamo, più grazie alle contrapposte ipocrisie, alle ingiustizie ed alle miserie di cui è portatore il suo storico nemico del nord, che per meriti propri. Ma ancora la regge.

Il lato più stravagante dell’articolo di CubaNet – quello che, in ultima analisi, lo condanna al ridicolo – sta nel fatto che l’autore lamenta come Batista abbia, nel concedere l’amnistia, “ceduto alla pressione popolare”, senza chiedersi perché ci fosse quella pressione, senza considerare le cause della popolarità degli “amnistiandi” e senza tenere in alcun conto le ragioni per le quali tanta gente li considerava degli eroi, dei liberatori. 

La mancata comprensione di questo processo storico da parte dell’anticastrismo – quello che ha il suo centro vitale (o per meglio dire, date le circostanze, mortale, intollerante ed immobile) nella città di Miami – è non l’unica, ma certo una parte integrante del segreto della longevità, oltre il dissolvimento del comunismo sovietico, del regime cubano. Ed è per questo che Ubre Blanca, senza esitazione assegna all’articolo di CubaNet, tutte e quattro le “no-bullshit award” disponibili. Che corrispondono a quattro caveman-award della rubrica “Voci e scritti dalle caverne” di 2Americhe.

Ecco comunque il testo dell’articolo

L’Avana, Cuba. – Il 15 maggio 1955 Fidel Castro e altri membri del Movimento 26 di Luglio, responsabili dell’assalto alla caserma Moncada, a Santiago di Cuba, furono scarcerati grazie ad un’amnistia decretata da Fulgencio Batista, che aveva intenzione di candidarsi alle elezioni e aveva bisogno di liberarsi della pressione popolare. Quella decisione avrebbe avuto un costo altissimo per Cuba, che Batista e i simpatizzanti di Fidel Castro arebbero dovuto prevedere.

La cosa più interessante è stato il contesto in cui si è verificata quella scarcerazione. Un contesto che dice molto delle libertà che aveva il popolo cubano sotto una dittatura che, con tutta la sua crudeltà, fu poca cosa rispetto al regime che Castro avrebbe instaurato a partire dal gennaio 1959. La pressione popolare per il rilascio degli assalitori ha avuto in prima fila i parenti dei giovani detenuti, che non hanno cessato le loro richieste, sostenuti dal popolo e un’ampia copertura giornalistica. Le madri, in particolare, hanno combattuto instancabilmente. Hanno redatto una lettera indirizzata al popolo di Cuba, a nome di tutte le madri della Patria, per rendere visibile l’ingiustizia e raccogliere tutto il sostegno e la solidarietà possibili.

Fu creato il Comitato dei Familiari Pro-Amnistía dei Prigionieri Politici, che ebbe una portata nazionale e aggiunse ancora più pressione su Batista, che fu anche accusato di aver escogitato un piano per assassinare Fidel Castro. Questa presunta cospirazione accelerò il processo e lasciò la libertà di essere eroi per il popolo e acclamati dai media che, appena un lustro dopo, avrebbero demonizzato la Repubblica come un ordine corrotto e disuguale, per instaurare un governo totalitario che ha tolto al popolo cubano il diritto di reclamare la libertà dei prigionieri politici, e alle madri la possibilità di raggrupparsi per combattere civilmente e pacificamente per la scarcerazione dei loro figli.

Quel giorno, a causa della sua ambizione personale e della sua miopia, Batista prese la decisione che condannò Cuba ad un calvario che sembra non avere fine. Poco prima, il politico Rafael Díaz-Balart, cognato di Fidel Castro, aveva tenuto un discorso davanti alla Camera dei rappresentanti avvertendo sui veri propositi di Castro e della sua cricca. “Non vogliono alcuna soluzione nazionale, non vogliono democrazia, né elezioni, né fraternità. Fidel Castro e il suo gruppo vogliono solo una cosa: (…) il potere totale per instaurare la più crudele, la più barbara tirannia…” ha detto.

Le sue parole furono profetiche. Díaz-Balart calcolò che il regime di Castro non si sarebbe potuto rovesciare in almeno 20 anni. Si sbagliò per difetto.

Clicca qui per leggere, su CubaNet, l’originale in spagnolo

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.