1973-2023. Tutto cambiato, tutto come prima

Cinquant’anni dopo il sanguinoso golpe dell’11 settembre 1973 – e a 33 anni dalla fine della sanguinosa dittatura di Augusto Pinochet – ancora il Cile non riesce a trovare, nonostante l’impegno del nuovo presidente di sinistra, Gabriel Boric, le basi per un comune “nunca más”. In questo servizio Fabio Bozzato e Gabriella Saba spiegano il perché.

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Da qualche tempo a Santiago non è difficile imbattersi in un narco-funerale: centinaia di persone accompagnano in processione la bara di un narco-assassinato con tanto difuochi d’artificio e spari in aria e quando il corteo sfila come provocazione sotto le finestre dell’omicida, finisce in un delirio di tafferugli e scontri che a volte nemmeno i robusti contingenti di polizia riescono a fermare. Ora, il Cile non è il Messico dei cartelli e fino a pochi anni fa quei narco-funerali non esistevano, così come non erano virali i video musicali in cui ventenni armati di kalashnikov celebrano la vita senza freni garantita dalla droga. E neppure c’erano i narco-mausolei, dove i capo-banda seppelliscono i propri familiari: le autorità ne hanno mappati almeno trenta nel distretto metropolitano e mandano le ruspe ad abbatterli.

Molte cose sono cambiate. E anche se il Cile resta il Paese di gran lunga più sicuro dell’America Latina, lo è comunque molto meno di quando le sparatorie tra gang rivali si vedevano giusto su Netflix. Non c’è sondaggio da cui non venga fuori che la sicurezza è la priorità per i cileni, mentre secondo la Subsecretaría de Prevención del Delito gli omicidi sono aumentati del trenta per cento dal 2021 e i furti con violenza sono quasi raddoppiati, con impennate nei sequestri. Non solo le periferie urbane. Le zone più critiche sono la Macrozona Sur, quella Araucanía di cui i mapuche rivendicano terre e autonomia e la zona del confine Nord in cui da qualche anno entra la gran parte delle migliaia di immigrati clandestini.

Un paese che chiede ordine e sicurezza

Ma cosa c’entra la criminalità con la commemorazione del golpe che l’11 settembre 1973 rovesciò il governo del socialista Salvador Allende? C’entra. Perché mai come in questi cinquant’anni si è sentita una richiesta così urgente di ordine e sicurezza. E perché nessun presidente dal ritorno della democrazia si è rivolto in modo così sorprendente alle forze dell’ordine e ai militari, come ha fatto Gabriel Boric.

Alla guida del Paese dal marzo dell’anno scorso, il più giovane e il più a sinistra dei presidenti del Cile ha impostato questo cinquantenario con una sferzata inedita. Da quando si è cominciato a parlare dell’anniversario, Boric ha ribadito fin da subito di voler coinvolgere le Forze Armate, responsabili nel ’73 del colpo di stato e legate a quell’evento nell’immaginario di gran parte dei cileni. La dittatura è una ferita aperta e tanti crimini sono ancora da chiarire. Ma il presidente è stato chiaro quando ha parlato della ricorrenza: «Non voglio sia una questione di trincee. Non voglio sia una commemorazione nostalgica e polarizzante». Per lui è inevitabile coinvolgere soprattutto le Forze Armate: «Con loro o non senza di loro, con loro e non contro di loro».

A dire il vero i generali sono refrattari a lasciarsi trascinare in dispute politiche, dopo che hanno impiegato tanto, dicono, a smarcarsi dallo stigma del golpe. Eppure, la narrazione spinta da Boric viene loro incontro. Già nel marzo dello scorso anno, sotto il governo di centro-destra di Sebastian Piñera, l’allora comandante in capo dell’esercito Ricardo Martínez aveva definito «una vergogna istituzionale» le violazioni dei diritti umani della dittatura. E qualche mese fa, in un’intervista a El Pais il comandante in capo della marina militare, Juan Andrés de la Maza, ha fatto un passo in più: non solo ha definito il golpe una «rottura della democrazia che non si deve ripetere in Cile e in nessun’altra parte del mondo», ma ha anche partecipato a un atto commemorativo insieme ad alcuni ex detenuti del regime. De la Maza ha spiegato che il 97 per cento dei soldati di marina è nato dopo il colpo di Stato e il 50 per cento dopo la fine della dittatura: «Quando chiedo ai giovani della Academia Politécnica Naval cosa sappiano dell’11 settembre, la cosa che ricordano sono le Torri Gemelle». 

Molti anche a sinistra sono convinti che non si possa circoscrivere la storia di un’istituzione così antica a un periodo di diciassette anni. “Il messaggio del presidente Boric è che le Forze Armate non sono un gruppo di persone a cui diamo le armi perché difendano soltanto una parte politica ma che debbano essere al servizio di tutti i cileni e come tali riconosciuti e rispettati», ci spiegava Patricio Fernández, scrittore e fondatore del settimanale The Clinic, da più di vent’anni un cult del centro-sinistra e scelto da Boric come suo consulente per il cinquantenario, incarico che ha ricoperto fino ai primi di luglio.

Una torta per ricominciare

Da lì tutta una serie di gesti di conciliazione. Persino piccoli gesti personali, come la torta che la ministra della difesa Maya Fernández ha offerto al comandante De la Maza per il suo compleanno, mentre erano in missione nella città di Talcahuano devastata dagli incendi. Fernández fa di secondo cognome Allende: il mitico presidente era suo nonno. Esiliata a Cuba durante la dittatura, è così pragmatica ed equilibrata da essersi guadagnata il rispetto delle Forze Armate. C’è riuscita puntando su due argomenti. Primo: i militari non hanno realizzato il golpe da soli ma con la complicità del mondo imprenditoriale e dei politici di destra. In secondo luogo, sottolinea come ai vertici ci sia oggi una generazione che non ha niente a che vedere con i generali che hanno rovesciato Allende.

«Sono i delinquenti quelli che devono avere paura»

 In questo cammino di riconciliazione c’è posto anche per i carabineros, con cui lo stesso Boric era stato durissimo da leader studentesco e da parlamentare. Ora sembra aver cambiato radicalmente atteggiamento. Il fatto è che i carabinieri stanno pagando un prezzo molto alto sotto il fuoco della criminalità. Tre di loro sono stati assassinati negli ultimi mesi e l’ultimo omicidio, quello del giovane Daniel Palma, ha suscitato una grande commozione in tutto il paese. Al funerale hanno partecipato tutti gli ex presidenti e ha colpito l’immagine di Boric che si inginocchia affranto davanti alla madre della vittima, abbracciandola a lungo. «Sono i delinquenti quelli che devono avere paura», ha tuonato in quell’occasione. «Non le istituzioni e meno ancora la gente onesta e lavoratrice, che è la grande maggioranza». E ha addirittura assicurato, in uno slancio di entusiasmo, che avrebbe partecipato alle operazioni di polizia.

Sta di fatto che nel frattempo il governo ha aumentato le gratifiche dei carabinieri e approvato una serie di misure per aumentare efficienza e sicurezza. Ed è stata approvata la legge Ley Naín-Retamal, all’interno di una riforma sulla sicurezza: uno dei punti più controversi è la presunzione di legittima difesa del carabiniere finché non venga dimostrato il contrario. A nulla sono valse le promesse della ministra degli interni, Carolina Toha, a rivederla. Le critiche da parte delle organizzazioni per i diritti umani sono state frontali. Amnesty International, da parte sua, continua a chiedere perché a capo dei carabinieri ci sia ancora il generale Yanez, quello che ha guidato la repressione delle proteste del 2019 con reiterate e documentate violazioni dei diritti umani.

Non è soltanto per opportunità politica e per guadagnare consensi facili però che il 37enne presidente si è avvicinato agli uomini in divisa, ma sembra rispondere a una sua idea di società conciliante. D’altronde, non può non tenere conto degli umori del paese: secondo gli ultimi sondaggi i carabinieri godono del sostegno del 78 per cento dei cileni. La credibilità dei pacos, come sono chiamati abitualmente con disprezzo, era crollata dopo gli scandali per corruzione che li avevano coinvolti nel 2017. Un altro colpo durissimo alla loro credibilità è avvenuto con la violenta repressione dell’estallido social, la lunga stagione di proteste popolari che alla fine del 2019 ha portato al plebiscito contro la costituzione di Pinochet e all’elezione di un presidente come Boric, sostenuto dalla nuova sinistra e dai comunisti.

Fino a non molti mesi fa i muri di Santiago erano completamente tappezzati dalle scritte “Paco asesino” e frasi come “Soy puta, soy maraca, pero no soy paca”. Alla marcia dell’otto marzo del 2020, dove file di carabiniere sorridenti cercavano di far dimenticare le brutalità, le manifestanti le insultavano e sputavano per terra in segno di disprezzo.

Sembra un’era fa. In modo quasi repentino l’opinione pubblica ha cambiato radicalmente di segno, in un paese che si è scoperto arrabbiato e violento contro le élite politiche ed economiche, un sistema bloccato, istituzioni escludenti, ma che nel frattempo era sferzato da una criminalità senza precedenti.

“Memoria, futuro e democrazia”

È sulla scia di tutto questo che si arriva alla commemorazione del golpe. «Le parole chiave del discorso di Boric sono memoria, futuro e democrazia», ci spiegava Patricio Fernández: «Significa guardare al passato non come pura operazione nostalgica ma come spunto per costruire un futuro in cui non possano più verificarsi tragedie come il golpe. Vediamo che la democrazia sta soffrendo una crisi di credibilità in tutto il mondo e abbiano il compito di vigilare per proteggerla. Occhio, però, questo non significa affatto un invito all’oblio, ma esattamente il contrario».

Così, mentre recupera il rapporto con i militari, il presidente lancia un Plan de Busqueda come mai è stato fatto finora: recuperare i corpi degli oltre mille detenuti desaparecidos di cui ancora non si è trovata traccia e restituirli ai familiari. Fino ad ora, le operazioni di ricerca erano a carico delle famiglie, ma ecco che il nuovo governo ci mette risorse, uomini e tecnologie.

Strano questo presidente. È il più a sinistra tra quelli che hanno guidato il Cile dal ritorno della democrazia ed è quello che più cita Salvador Allende. Eppure, quando un giorno si è riferito al governo di Unidad Popular, ha avvertito di non mitizzarlo ed è arrivato a consigliare il libro dello storico di centro-destra Daniel Mansuy.

Benché la sua popolarità sia ferma al trenta per cento (salvo impennate estemporanee), chi lo conosce da vicino ne elogia la capacità di ascoltare e di riflettere, di ammettere di aver sbagliato e di cambiare idea. Da qui le sue posizioni sui carabinieri. La sindaca de La Pintana Claudia Pizarro ha dichiarato di aver visto Boric molto colpito durante l’incontro con i familiari delle vittime della criminalità nella sua comuna e non esclude che quella visita abbia contribuito a farlo ricredere sui carabinieri. La Pintana è un quartiere di 180.000 abitanti tra i più poveri e marginali di Santiago e centro del narcotraffico da molto prima che diventasse un’emergenza nazionale.

Claudia Pizarro ha una sua ricetta: cerca di combatterlo a colpi di progetti culturali e sportivi a favore di adolescenti a rischio. Dice di aver ottenuto buoni risultati, ma ha subito così tante minacce che dal 2017 è sotto scorta e hanno pure cercato di assassinarla tre anni fa, salvandosi per miracolo. «Il presidente sta facendo moltissimo per la sicurezza e in particolare qui per La Pintana – ci racconta – Per esempio adesso abbiamo otto auto della polizia rispetto alle due che avevamo prima, più personale nelle strade e più controlli, e c’è un progetto in atto per l’illuminazione delle strade che di notte sono buie e pericolose».

La Pintana è una delle zone a cui si applica da qualche mese il progetto Calles Sin Violencia: «Un’ottima proposta del governo è quella di ridurre da tre giorni a uno la durata dei funerali legati ai narcos (che, per inciso, sono stati 1.100 dal 2019, classificati “ad alto rischio”) e la demolizione delle narco-case». La prima volta che Boric ha visitato la Pintana è stato nella seconda tranche della campagna, accolto da un’orchestra sinfonica composta da bambini delle zone vulnerabili: è rimasto così colpito che cinque di loro li ha portati nel settembre scorso al convegno dell’Onu, imbarcandoli nell’aereo presidenziale.

Non restare prigionieri dell’odio

È anche per tutto questo che Gabriel Boric sembra non voler restare prigioniero del golpe e di tutta la nostalgia e l’odio che circondano quell’evento. Il suo sembra un equilibrio spinoso tra presente e passato, il filo tenue che lega errori e crimini commessi cinquant’anni fa e l’urgenza di saldare la democrazia ora.

La maggior parte dei cileni non era nata ai tempi della dittatura e Boric imparava a parlare quando tornava la democrazia nel 1990. «Per questo spetta a noi che abbiamo vissuto la dittatura spiegare ai giovani l’orrore che è stato e motivarli a proteggere quello che abbiamo», ci diceva Patricio Fernández. «Molti del partito socialista e comunista guardano soprattutto al passato perché hanno sofferto torture ed esilio, è normale che il loro punto di vista sia fortemente influenzato da quelle esperienze». Qualche giorno dopo averci raccontato queste cose, Fernández ha dovuto dimettersi dall’incarico affidatogli dal presidente, su richiesta proprio di quei socialisti e comunisti di cui parlava, insieme a 160 organizzazioni di familiari di detenuti desaparecidos. La sua colpa è aver detto in un incontro radiofonico condotto dal sociologo Manuel Antonio Garretón che sulle origini del golpe gli storici potrebbero ragionare a lungo ma è sulle sue tragiche conseguenze che tutti dovrebbero concordare. Lo hanno accusato di negazionismo, scatenando un infuocato dibattito a sinistra che ha messo in evidenza una spaccatura che covava da tempo.

È proprio su quelle origini del golpe che corre la frattura più profonda nel paese. Eppure, in questi cinquant’anni anche lo spazio della destra ha subito smottamenti e riconfigurazioni. C’è perfino una destra dichiaratamente antipinochetista come quella del partito Evópoli, liberista in economia ma a favore dei matrimoni fra persone dello stesso sesso e attenta all’uguaglianza di genere. Hernán Larraín, 48 enne fondatore del partito e del centro di studi Horizontal che ne elabora i programmi, spiega che tra le prime iniziative c’è stata una lettera ai partiti di destra che invitava a ripudiare il golpe come un crimine. Larraín è un uomo brillante e anche se ribadisce la sua opposizione al governo di Boric ne loda il pragmatismo e le capacità di mediazione. E’ fratello del celebre regista Pablo di cui sta per uscire su Netflix il film El Conde, presentato in questi giorni alla Mostra del Cinema di Venezia e in cui Pinochet viene rappresentato come un vampiro impunito e dunque eterno.

Una nuova destra che “alza l’asticella”

«Apprezzo molto l’avvicinamento di Boric alle Forze Armate e che riconosca che non sono solo il manipolo di assassini a cui si deve il golpe», ci dice. Solo che Evópoli conta ben poco dentro la galassia della destra tradizionale, forgiata dalla dittatura e ora incalzata dal Partido Repubblicano, il più estremo e nostalgico. I repubblicani si sono presi la scena nell’ultimo anno, proprio approfittando di quel clima di insicurezza e reclamando legge e ordine. Nell’elezione del Consiglio costituzionale (quello che sta riscrivendo la Costituzione, dopo il fallimento del testo varato dall’Assemblea Costituente) hanno rastrellato un terzo dei voti.

Uno dei suoi esponenti più in vista, Luis Silva, ha più volte ribadito la sua ammirazione per Augusto Pinochet definendolo un grande statista. Il presidente Boric, il conciliatore, è sbottato: «Pinochet è stato un dittatore, un antidemocratico, il cui governo ha ammazzato, torturato e fatto sparire chi non la pensava come lui. È stato anche corrotto e ladro, codardo fino alla fine». Di più: in occasione di un evento nel Museo de la Memoria y los Derechos Humanos si è rammaricato di come l’ex ministro dell’Interno del regime, Sergio Onofre Jarpa, sia morto impunito.

Il fatto è che Onofre Jarpa è stato anche il fondatore di Renovación Nacional, uno dei due partiti della destra tradizionale (assieme alla UDI), che ha avuto un ruolo chiave nella transizione democratica. Boric un tentativo lo ha fatto: per provare a trovare dei punti di condivisione, ha chiesto a tutti di firmare un documento in cui si condannava il golpe e ci si impegnava a vigilare sulla democrazia. Nessuno a destra ha accettato con la giustificazione che un accordo come quello sarebbe stato strumentalizzato dal governo a cui si oppongono, e il giovane capo di Stato ha dovuto rimangiarsi l’appello, tra mille critiche da tutti i fronti.

Sta di fatto che la destra ha alzato l’asticella e ogni giorno arriva una provocazione. Dopo la recente morte del segretario comunista Guillermo Teiller, responsabile militare del partito durante la dittatura (è stato lui a dare l’ok all’attentato contro Pinochet nel 1986), Boric ha dichiarato due giorni di lutto nazionale. Le destre sono insorte. Non solo: sono addirittura riuscite a far approvare al Congresso una mozione perché venga letto solennemente il documento che nell’agosto del 1973 dichiarava la rottura dell’ordine costituzionalità da parte del governo di Unidad Popular. Un modo per sottolineare, ancora, la responsabilità da parte della sinistra cilena per essere arrivati al golpe.

Rompere il “patto del silenzio”

Uno choc per la sinistra, dove anche qui sembrano prevalere le posizioni più intransigenti: la AFDD (l’associazione dei familiari di detenuti desaparecidos) ripete che la commemorazione con le Forze Armate può avvenire soltanto a condizione che rompano il famoso “patto del silenzio” con cui ancora coprono la tragedia generata dal golpe. Per interi pezzi di sinistra Gabriel Boric non è più solo un amarillo, un moderato (con accezione dispregiativa), ma un traditore.

È cambiato, il Cile, e allo stesso tempo sembra sempre rimasto a quel maledetto 1973. Secondo una recente inchiesta, più del trenta per cento dei cileni approva il golpe. E se non bastasse, in un sondaggio pubblicato una settimana fa dall’agenzia Criteria il 48 per cento degli intervistati ha dichiarato che la commemorazione non cambierà la loro vita. Il presidente è solo e in questo ricorda la solitudine di Salvador Allende. Così, il suo ambizioso sogno di riconciliazione sembra sfumare in un’evanescente falena.

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