Joe perdona Hunter. La Storia non lo assolverà.

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Che quello di Joe Biden fosse destinato ad essere il più triste degli addii alla Casa Bianca era, da tempo, cosa risaputa. E risaputa da molto prima che, sul finire dello scorso luglio, il presidente ancora in carica annunciasse la sua decisione di ritirarsi da una corsa che era comunque destinato a perdere. Troppo a lungo Joe Biden aveva rifiutato di rimirare sé stesso e le proprie ambizioni nello specchio del tempo. E il 21 di giugno quello specchio gli era infine caduto addosso o, peggio, gli era esploso in faccia, impietosamente frantumando la sua immagine – o quel che della sua immagine restava – durante il primo (e per lui umiliante) dibattito presidenziale. Uscire di scena era stato, a quel punto, un modo – l’unico rimastogli – per affrontare da perdente, ma con onore, la manzoniana “ardua sentenza” dei posteri. O, più semplicemente – accantonando ogni forzata reminiscenza napoleonica – per alleviare lo sconforto d’una partenza non desiderata, né programmata, con l’orgoglio d’un dignitoso congedo. Più ancora: con la proiezione d’una immagine pulita di sé stesso e, nella sua pulizia, in netto contrasto con quella del vincitore.

Difficile era immaginare che, a poche settimane, ormai, dal suo definitivo abbandono della candida magione di 1600 Pennsylvania Avenue, D.C., “Uncle Joe” avrebbe gettato alle ortiche anche quell’ultimo velo di politico e personale decoro, facendo, ormai sulla porta d’uscita e con la furtiva grazia d’un ladro in fuga, quello che per quattro anni aveva assicurato che mai avrebbe fatto. Ovvero: regalando un perdono a 360 gradi – valido per il passato, il presente e il futuro – a suo figlio Hunter e, nel contempo, un’aura di legittimità ed una sinistramente etica giustificazione all’uomo che, con le peggiori intenzioni, si appresta ora a sostituirlo alla Casa Bianca.

Salvate il soldato Hunter

Perché l’ha fatto? Rispondere a questa domanda è semplicissimo e, insieme, estremamente complicato. Semplicissimo perché molto semplici – paternamente semplici – sono le ragioni che lo stesso Biden ha addotto per spiegare la sua decisione. Ed estremante complicato, perché molto difficili da capire sono la logica e i tempi di questa decisione, l’apparente indifferenza di chi questa decisione ha preso rispetto alle ovvie conseguenze del gesto. Ho perdonato mio figlio – ha affermato in sostanza il presidente uscente – per salvarlo da quella che a tutti gli effetti è stata una persecuzione politica. I reati per i quali oggi deve essere giudicato – ha aggiunto – mai sarebbero stati considerati tali e mai sarebbero stati perseguiti con tanto feroce accanimento, non fosse stato Hunter figlio di un presidente che si voleva politicamente colpire. Per questo io oggi lo perdono, facendo in extremis uso delle mie prerogative presidenziali.

C’è, ovviamente, un fondo (giusto un fondo) di verità in questa ricostruzione dei fatti. È una storia antica quella di Hunter Biden. Molto più antica della presidenza del padre. Una storia cominciata ai tempi della duplice presidenza di Barak Obama, quando, con Joe Biden alla vicepresidenza, Hunter ha, per così dire, cercato di mettere a frutto il suo cognome come consulente internazionale. Punto focale della storia: l’Ucraina, dove Hunter era entrato, in virtù esclusivamente del proprio cognome e con lauto stipendio, nel Consiglio d’Amministrazione d’una impresa energetica, la Burisma, al centro d’un molto ramificato ed impunito sistema di corruzione. Nel corso di tutti questi anni – partendo da questa risaputa verità – la domanda sempre è stata una soltanto: in che misura le attività di Hunter hanno coinvolto il padre (prima nelle vesti di vicepresidente e, poi, di presidente)? E la risposta è sempre stata una soltanto: in nessuna misura. O, quantomeno, in nessuna misura che avesse qualche misurabile rilevanza politica o giudiziale.

Molti sicuramente ricorderanno. Nel 2019 l’allora presidente in carica, Donald J. Trump – lo stesso Donald J. Trump che il prossimo 20 gennaio tornerà trionfalmente alla Casa Bianca – aveva sospeso aiuti militari all’Ucraina già sanciti dal Congresso, usando quelle somme di danaro come strumento di ricatto nei confronti del presidente Volodymyr Zelenskyy. Quei soldi noi ve li diamo – aveva con molto mafiosi accenti detto Trump in una famosa telefonata che gli sarebbe poi costata il suo primo processo d’impeachment – ma prima “dovete farci un favore”. E quel favore era annunciare ufficialmente l’apertura di un’inchiesta sulle relazioni tra Burisma e Hunter Biden, O meglio tra Burisma e i Biden tutti. A cominciare da quello che, allora, già si profilava come il suo più probabile avversario democratico nella corsa presidenziale del 2020. (Si badi bene: Trump non reclamava un’inchiesta per sapere come stavano le cose. Quello che chiedeva era l’annuncio di una inchiesta da usare come fango da lanciare contro un rivale politico).

Una prolungata caccia all’uomo

Sulle inenarrabili nefandezze di Hunter Biden e, soprattutto, sui legami di queste nefandezze con il Joe che abitava alla Casa Bianca, la maggioranza repubblicana della House of Representatives ha condotto una’inchiesta che, per due lunghi anni, udienza dopo udienza ed all’ombra d’un “inevitabile” processo d’impeachment contro il presidente in carica, ha quasi settimanalmente annunciato clamorose e “definitive” rivelazioni, tutte poi svanite nel nulla – un nulla non di rado ridicolo – come bolle di sapone. Ed una cosa è certa: i due reati per i quali Hunter Biden deve, o meglio, avrebbe dovuto ora rispondere di fronte alla giustizia (dichiarazioni false al fine d’ottenere un permesso d’acquisto per un’arma da fuoco, ed il mancato pagamento di tasse per 1,7 milioni di dollari) non sono, a conti fatti, che i cascami di questa prolungata caccia all’uomo.

Proprio il contesto di questa lunga storia, paradossalmente, è però quel che, oggi, rende più enigmatico – tristemente enigmatico – non solo il perdono di Joe Biden, ma l’intero intreccio delle sue relazioni con il figlio Hunter. Perché – considerati questi antecedenti – Joe Biden ha deciso di regalare ai protagonisti questa caccia all’uomo, o di questa pluriennale bolla di sapone, un frettoloso perdono “in uscita” destinato soltanto a rialimentare insinuazioni, calunnie e teorie cospirative, nonché a creare alibi morali per i perdoni e le vendette che, cosa di cui non ha mai fatto mistero, Donald Trump ha in programma?

Qualcuno – e non senza qualche valida ragione – offre una spiegazione che molto sarebbe piaciuta ai classici della tragedia greca. Biden questa storia avrebbe potuto ucciderla nella culla prendendo immediatamente e pubblicamente le distanze dalle attività internazionali del figlio. Ma mai lo ha fatto. Anzi, per Hunter, Joe Biden non ha mai avuto, da quando il suo nome è diventato notizia, altro che parole di conforto, affetto e ammirazione. Mio figlio, ha sempre detto, non mai fatto “alcunché di male”. E, ha sempre aggiunto, “sono molto orgoglioso del coraggio da lui mostrato nella sua lotta contro la dipendenza dalla droga” (Hunter è stato, per molti anni ed in termini molto drammatici “crack-dipendente”. Una esperienza da lui stesso raccontata in un’autobiografia dal titolo “Beautifull Things”).

Perché “Uncle Joe” è – prima di quest’ultimo furtivo perdono “totale” – rimasto in questa sorta di limbo, senza alzare alcuna insormontabile e visibile barriera tra lui e gli affari che, usando il suo cognome, Hunter andava qua e là facendo? Forse davvero per la più semplice ed umana delle ragioni: per l’amore di un padre che avendo già perso due figli in tragiche circostanze – Naomi morta ancora bambina insieme alla prima moglie di Joe in un terribile incidente stradale, e Beau, ucciso nel 2015 da un cancro al cervello – non voleva perderne un terzo. In sostanza (e qui entra in scena la tragedia greca): i figli non pagheranno le colpe dei padri. Joe Biden avrebbe oggi distrutto, di fronte alla Storia, la propria reputazione per non far ricadere su Hunter il fio delle sue ambizioni presidenziali. Può essere.

Tu hai perdonato il tuo, noi perdoniamo i nostri

Quello che invece sicuramente è, già lo si è assaporato ieri nelle prime reazioni dell’entourage Donald J. Trump, fresco vincitore delle elezioni. Tu hai perdonato il tuo. Adesso noi perdoniamo i nostri. E perdonati i nostri ci vendicheremo dei vostri che i nostri hanno a suo tempo attaccato. Basta un’occhiata ai nomi prescelti per il nuovo governo – pochi esperti, molti sicari – per capire il senso di queste parole. Il più antidemocratico e corrotto presidente della storia d’America si appresta a (ri)entrate alla Casa Bianca. E, con il suo perdono, Joe Biden gli ha regalato, metaforicamente parlando, la combinazione della cassaforte. Per questo – passando da Napoleone Bonaparte a Fidel Castro – di certo la Storia non lo assolverà.

Sí, è davvero un triste addio, quello di Joe Biden in questi ultimi scampoli di 2024. E tristi, tristissimi sono i giorni, i mesi e gli anni che attendono la “più antica democrazia del mondo”.

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