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“Plan pijama” per il “comandante en jefe”?

 

Con una lettera alla “Mesa Redonda”, Fidel sembra annunciare, alla vigilia delle elezioni per il nuovo Poder Popular, la sua volontà di “non ostacolare il cammino di gente più giovane” – È l’inizio del “dopo-Castro”?

di mc

23 ottobre 2008

Che cosa esattamente significhi è ancora presto per dirlo. Potrebbe essere l’inizio della fine del castrismo. O l’inizio del castrismo senza Castro. O, ancora, potrebbe non essere che il gattopardesco preludio d’una conferma “coram populi” del vecchio leader in tutta quella lunga serie di incarichi – “primer segretario del Partido Comunista de Cuba, primer presidente del Consejo de Estado y de Ministros, comandante en jefe Fidel Castro Ruz – che, pronunciata tutto d’un fiato, ha per quasi mezzo secolo messo a dura prova i polmoni degli annunciatori radiofonici e televisivi cubani. Ma di certo questo è successo. Lunedì sera, nel corso della trasmissione televisiva “La Mesa redonda” – per l’occasione dedicata ai diritti umani ed al problema dell’effetto serra – è stata letta una lunga lettera del “líder máximo” (clicca qui per il testo completo) contenente un’affermazione che, per quanto ancora ambigua, forse nessuno si sarebbe mai atteso d’ascoltare da tanta fonte: “…Il mio dovere non è quello d’aggrapparmi ad incarichi ed ancor meno d’ostacolare il cammino di gente più giovane, bensì quello d’apportare esperienze ed idee il cui modesto valore dipende dall’eccezionale epoca che mi è toccato vivere…”.

Il prossimo 20 gennaio, i cubani andranno a votare per eleggere la nuova Assemblea Nazionale del Poder Popular e, come sempre accade dal 1976, anno di entrata in vigore della Costituzione socialista, anche stavolta tra i candidati selezionati dalle assemblee di base e dai poder popular municipali e provinciali, è apparso – non sorprendentemente – un piuttosto riconoscibile nome: quello, per l’appunto, di Fidel Castro Ruz, il gran capo fino a ieri ovviamente ed immancabilmente destinato, in virtù d’un sistema elettorale che lui stesso s’è cucito addosso, non solo ad una plebiscitaria vittoria nelle urne, ma anche ad una onnivora presenza al vertice di tutte le strutture del comando esecutivo (il Consiglio di Stato ed il Consiglio dei Ministri) a loro volta elette dalla Assemblea Nazionale. E proprio questo era (e in parte ancora è) quello che una consistente fetta degli osservatori internazionali s’è andata in queste settimane chiedendo e richiedendo: essendo Fidel ormai da 16 mesi in stato di convalescenza, fino a che punto il rituale della sua rielezione si sarebbe ripetuto anche in questo 2008?

La frase contenuta nella lettera del (ex?) “líder máximo” non risponde compiutamente alla domanda, ma sembra aprire la porta, se non proprio al “plan pijama” (piano pigiama, o pensionamento completo) auspicato dai suoi più fervidi detrattori, quantomeno ad una sua parziale ritirata – difficile dire con quanto effettivo potere di condizionamento – nell’empireo di funzioni di grande suggeritore, o di “coscienza della nazione”, mantenendo (questa è l’ipotesi che circola con più frequenza) l’incarico di capo del Consiglio Nazionale, ma cedendo l’incarico di capo del governo (primer segretario del Consejo de Ministros) al giovane (o meno vecchio) vicepresidente Carlos Lage. Il tutto, mentre a Raúl Castro toccherebbe (come già oggi) il compito di dirigere le due strutture – il Partito Comunista e le Forze Armate – che, oltre la carismatica figura del “comandante en jefe”, rappresentano la vera fonte del potere politico a Cuba.

La svolta – una vera svolta epocale se si considera che, ormai, ben il 70 per cento dei cubani viventi non hai mai conosciuto, a nessun livello, un leader diverso da Fidel – appare a questo punto possibile, ma impossibile è dire quanto probabile. Lo scorso 2 dicembre, quando la lista dei nuovi candidati è stata presentata, il presidente dell’Assemblea Nazionale del Poder Popular uscente, Ricardo Alarcón, aveva apertamente dichiarato d’essere pronto a “votare con tutte e due le mani” per la rielezione di Fidel al vertice del Consiglio di Stato e del Consiglio dei Ministri. E non è la prima volta che – sia pure in ben diverse circostanze – lo stesso Fidel afferma d’esser disposto a farsi da parte. O meglio: non è la prima volta che afferma di trovarsi assiso su tutti (senza eccezioni) i più alti scranni, non per volontà sua – che lui non ha, per il potere, attrazione alcuna – ma per la implorante volontà d’un popolo di cui lui non è che l’ umile servitore. Tracce di questa piuttosto affettata modestia si ritrovano, in effetti, anche nel messaggio inviato alla “Mesa Redonda”. E questo potrebbe lasciar pensare che la conclamata intenzione di “far largo ai giovani” possa, a conti fatti, non essere che il presupposto d’un finale nel quale siano proprio i giovani ai quali il grande capo vorrebbe far largo a chiedere a gran voce, insieme al resto di un popolo colmo di gratitudine, la permanenza sul trono del sovrano convalescente.

Di certo, dai destini della candidatura di Fidel, sarà, in non piccola parte possibile, nelle prossime settimane, misurare la profondità del processo di confronto e di “cambiamento strutturale” aperto con il discorso tenuto da Raúl Castro lo scorso 26 di luglio, nell’anniversario dell’attacco al cuartel Moncada. Molti osservatori hanno, negli ultimi mesi, sottolineato come mai prima d’ora, a Cuba si fosse discusso tanto apertamente – e con tanto spirito critico – dei vizi de regime. Staremo a vedere. Per Fidel, forse, non sono ancora giunti i giorni del “plan pijama”. Ma il 2008 è probabilmente destinato a venir ricordato dagli annali, come il primo del “dopo-Castro”.

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