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Thursday, March 28, 2024
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Il “mezzo perdono” di Calderón

Ha chiesto perdono, Felipe Calderón, presidente del Messico. Ma non per tutto. E certo non per avere mobilitato l’esercito e tutte le forze federali contro i cartelli del narcotraffico. Io credo fermamente – ha detto in sostanza Calderón – che il governo a tutti livelli, federale, nei singoli Stati e nelle varie realtà municipali, debba chiedere perdono ai parenti delle vittime della violenza per non aver saputo proteggere i loro cari. E di questo io oggi chiedo perdono. Ma non chiedo perdono per avere mandato le forze federali a combattere il narcotraffico in zone dove, per paura o per corruzione, al crimine erano state consegnate le chiavi di intere città e di intere regioni. Dovrei, caso mai, chiedere perdono per tutti coloro che, a Città del Messico, questa decisione non l’hanno presa prima…Io credo che nel chiedere il ritiro delle forze federali, Javier Sicilia commetta un grave errore…

Teatro di questa confessione – o mezza confessione – lo straordinario incontro (un evento trasmesso in diretta da tutte le principali reti televisive del paese) che il presidente messicano e una buona fetta del suo governo ha avuto con i protagonisti della “grande marcia contro la violenza”. La stessa che, guidata dal poeta Javier Sicilia, ha nelle scorse settimane attraversato, da Cuernavaca fino a Ciudad Juárez, tutto il Messico settentrionale. È stato qui che si sono per la prima volta confrontate, cara a cara, i due contrastanti (e, forse, non del tutto inconciliabili) modi di guardare alla “guerra” che sta vivendo il Messico.

Da un lato Javier Sicilia, che un figlio ha perduto in questa guerra (e che di tutte le vittime del conflitto si è fatto portavoce), secondo il quale proprio la mobilitazione guerresca d’uno Stato “podrido” – ovvero: marcescente e, in sue molte parti, infiltrato dallo stesso narcotraffico – ha finito per esasperare (e in buona misura anche per creare) il problema, trasformando una questione di lotta alla criminalità in un vero e proprio conflitto armato nel quale già si contano 40mila morti ammazzati. “Ci guardi – ha detto Javier Sicilia nella parte più drammatica del suo intervento – le sembriamo danni collaterali?”. Dall’altro lato Felipe Calderón che, anch’egli, riconosce la portata della tragedia e le dimensioni del dolore create dalla guerra, ma invita a non confondere le cause con gli effetti. La guerra, ha detto il presidente messicano, già c’era. E non si può, adesso, gettare la croce addosso a coloro che combattono chi la guerra ha provocato. O rimandare tutto, come se nulla stesse accadendo, al momento nel quale finalmente, i pubblici poteri messicani avranno “ripulito sé stessi”. “Che cosa dovevo dire a quanti vivono nelle zone dove il crimine detta legge? – ha retoricamente chiesto Calderón a Sicilia – Aspettate qualche annetto che io, nel frattempo, faccio una riforma politica?”

Il contrasto tra queste due posizioni non è stato, nonostante l’abbraccio finale tra Calderón e Sicilia, risolto dallo “storico” incontro. Ma resta l’eccezionalità d’un evento che, nel suo complesso, va visto come un momento del risveglio della società civile – e, in qualche misura – anche della classe politica – d’un paese che, da tempo, viaggia lungo la sottilissima ed alquanto sfumata linea che separa l’ordine da caos.

Ecco come la pagina web del settimanale “Proceso” – del quale Sicilia è storico collaboratore – ha descritto gli eventi:

MÉXICO, D.F. (apro).- Al iniciar el diálogo entre el Movimiento por la Paz con Justicia y Dignidad y el presidente Felipe Calderón, las primeras intervenciones dejaron en claro la distancia entre las visiones de los integrantes del movimiento con el gobierno federal.
El primer turno de participación, correspondió a Javier Sicilia quien, para iniciar pidió un minuto de silencio por las victimas de “esta guerra absurda y sin sentido”.
Sicilia mantuvo durante su mensaje la misma línea discursiva de critica al gobierno federal y a su política anticrimen.
Ante el mandatario federal, los secretarios de Gobernación, José Francisco Blake Mora; de Seguridad Pública, Genaro García Luna; de Educación, Alonso Lujambio; de Desarrollo Social, Heriberto Félix y de la procuradora General de la República, Marisela Morales, Sicilia preguntó:
“¿Les parecemos daños colaterales?”.
El poeta morelense, cuyo hijo fue asesinado a finales de marzo, también dijo que Felipe Calderón debe pedir perdón.
En su mensaje, Calderón admitió los yerros del gobierno, principalmente del orden municipal y estatal; insistió como ha hecho desde hace meses, en que la militarización del país es una consecuencia y no causa de la violencia y al menos en dos ocasiones, se dirigió a Sicilia, diciéndole: “estás equivocado”.
La extensa arenga de Calderón inició declarando que sentía dolor por las víctimas, a las que puso número y, en algunos casos, hasta nombres, pero en general, se centró en justificar las acciones de su gobierno contra la delincuencia organizada. Afirmó que los gobernadores fueron rebasados por el crimen, por lo que tuvo que entrar el gobierno federal.
Inclusive, refirió que la violencia inició antes de su administración, comentando hechos violentos registrados durante el gobierno de Vicente Fox.

En su oportunidad, Sicilia le exigió al presidente pedir perdón por las víctimas de la guerra contra el narcotráfico. También le pidió despenalizar algunas drogas, fijar una fecha para resolver todos los crímenes, redefinir la estrategia y terminar con los privilegios a sectores de poder tales como el SNTE.

En respuesta, Calderón dijo: “coincido en que debemos pedir perdón por no proteger la vida de las víctimas pero no por haber actuado contra los criminales que están matando a las víctimas”

Y justificó: “Hubiera sido más cómodo para mi no haber actuado”. De paso, presumió los logros de su gobierno, como la construcción de 800 bachilleratos y mil clínicas.

Al iniciar su oportunidad, Sicilia le recordó a Calderón que durante la Caravana por la Paz grabaron un video con los testimonios de las víctimas y le pidió que estas imágenes sean difundidas en las instituciones educativas.

Sicilia le dijo a Calderón que si bien el no era el único responsable de la podredumbre de las instituciones del país, sí se había aprovechado de ella. Y es más, le recordó la forma en que llegó al poder en 2006, mediante pactos con grupos de poder.

El escritor le pidió al mandatario la creación de un organismo ciudadano autónomo que vigile el cumplimiento del poder político y siga las investigaciones a los crímenes vinculados al narcotráfico.

Calderón no atendió ninguna de estas propuestas y se limitó a insistir en que a él también le dolían las víctimas y a defender su estrategia.
En estos momentos, deudos y víctimas de la violencia, relatan su experiencias frustrantes con el gobierno federal.

 

 

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